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La
Dalmazia fino al 1797 è stata prima romana e poi veneta e fino al 1918 la
sua cultura è stata sempre latino - veneto - italiana. Questo nessuno lo
sà: la Dalmazia è conosciuta, con grossolano errore, come terra slava.
Nessuno ricorda i tanti dalmati che, volontari, hanno combattuto e sono
morti nella grande guerra per l'italianità della Dalmazia
Il centro pulsante della vita dell'arcipelago è
sorto in fondo allo stretto vallone al riparo della bora, con le viuzze e
le case arrampicate sulle colline circostanti. Il mare, un richiamo
irresistibile, una porta che si apriva sul mondo e i coraggiosi e
intraprendenti lussignani iniziarono verso la fine del XVIII secolo la
loro avvincente avventura. Sorsero squeri, cantieri navali, la Scuola
nautica, l'osservatorio meteorologico e quello astronomico. I velieri
degli armatori lussignani solcheranno gli oceani. Verso la fine del XIX
secolo ha inizio a Lussino l'era del turismo. Dapprima un turismo d'élite,
specie per l'alta società e per gli Asburgo. La bellezza naturale
dell'ambiente, la dolcezza del clima, le ombrose pinete che lungo la costa
offrono riparo dalle calure estive, l'aria balsamica fanno diventare
questa località una stazione climatica d'importanza internazionale. Già
nel 1866 si costituisce la Società turistica locale e sorge l'Istituto
per la cura delle vie respiratorie. Il primo albergo, il Vindabona
s'inaugura nel 1887. Ville lussuose come l'Adelma e la Carolina sorgono
nelle zone più attraenti. Si cura particolarmente la già ricca
vegetazione piantando pini e altre piante esotiche.
Oggi Lussinpiccolo, ricco della sua tradizione, è diventata una vivace
cittadina dove si alternano spettacoli teatrali, mostre d'arte, concerti
di musica classica e folk.
Alberghi di varie categorie, rinomati ristoranti, pizzerie, boutiques,
varie agenzie turistiche s'impegnano di soddisfare al meglio tutte le
esigenze degli ospiti.
Le
origini di Lussinpiccolo ci riportano al XII secolo quando
sull'isola di Lussino giunsero 12 famiglie croate che si stabilirono
nella
baia di San Martino. Questi primi abitanti, allevatori e
agricoltori, si dedicarono naturalmente alla pesca, alla marineria e
alla costruzione navale insediandosi anche in altri centri lungo le
coste isolane.
Su Lussino è corsa la storia scritta dal passaggio e dalla
conquista da parte di Roma, della Serenissima, di Napoleone,
dell'Italia. Alla fine del secondo conflitto mondiale il
territorio diviene croato.
Nei più
antichi paesi delle isole (Lubenice, Ossero, Beli) si conservano le
maggiori tracce di questa storia di oltre 4000 anni. Ossero già nel
IX secolo era il centro diocesano.
Il mare fu vita e porta
sul mondo per i lussignani, intraprendenti e coraggiosi, che
iniziarono alla fine del XVIII secolo a conoscere gli anni migliori.
Nacquero cantieri navali, squeri, scuola nautica e osservatori
astronomico e metereologico, mentre i velieri di Lussino solcarono
gli oceani, guidati da valenti marinai. Gli armatori lussignani
erano proprietari nel 1879 di 170 grandi mercantili e velieri e Lussino
era all'epoca il secondo porto sull'Adriatico dopo Trieste per le
tonnellate registrate mentre i suoi marinai erano ormai considerati
i migliori del Mediterraneo.
Con
il passaggio alle navi a vapore, il destino dei velieri era
ormai segnato così come la vita di Lussino, ma stava per aprirsi
una nuova pagina legata alla particolare salubrità climatica
dell'isola |
La nuova storia di
Lussino inizia alla fine del XIX secolo con il turismo d'élite costituito
dall'alta società, soprattutto asburgica.
Viene proclamato, nel lontano 1892, luogo di cura climatico
(particolarmente per le malattie respiratorie e allergie), con decreto del
Ministero della sanità della monarchia Austro-ungarica.
L'isola diviene così una stazione climatica d'importanza internazionale
per la dolcezza del clima e l'aria balsamica, connubio di ombrose pinete e
brezza marina.
Nel 1866 nasce la società turistica e l'istituto per la cura delle vie
respiratorie. Sorgono il primo albergo, il Vindabona (nome romano della
città di Vienna) nel 1887, e lussuose ville nelle baie più suggestive
come quella di Cikat.
La ricca vegetazione viene ulteriormente arricchita con pini d'Aleppo e
piante esotiche.
In tutto l'arcipelago di Cherso-Lussino esistono circa 1500 specie
vegetali, un numero superiore a quello delle specie esistenti nelle isole
britanniche.
Di queste, 939 sono autoctone e 230 sono considerate erbe medicinali
La pineta di Cikat è stata piantata verso la fine del XIX sec. dal
professore Ambroz Haracic, del celebre Istituto nautico di Lussino.
80 specie di piante esotiche sono state importate da capitani e marinai
lussignani che le hanno piantate nei giardini delle proprie case.
Sull'isola si trovano piante che solitamente appartengono alla flora della
Dalmazia meridionale o della Sicilia come le agavi, cactus messicani,
palme, magnolie, pistacchio, mirto, mimosa, fichi d'india, limoni, arance
e mandarini (importati dal Vietnam a Palermo ed in seguito a Lussino)
Un grande lago d'acqua dolce, il Vrana (con un'area 5 km2 e una
profondità di 74 m ) fornisce l' acqua potabile a tutti i paesi dell'
isola. Si tratta di un fenomeno naturale unico. Nonostante le ripetute
ricerche scientifiche nessuno è stato in grado di spiegare come tanta
acqua possa trovarsi in un'area arida di conformazione carsica.
Articolo tratto da:
LUSSINO
Foglio della Comunità di
Lussinpiccolo
Storia, Cultura, Costumi, Ambiente, Attualità dell'Isola di Lussino
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articoli del quadrimestre:
Di Giuseppe
Favrini
La cultura prevalente da
più di cinquant'anni è contro di noi
Vogliamo
solo che la nostra Storia sia rispettata.
Lo pretendiamo in Italia. Facciamo il possibile
perchè lo sia anche a Lussino.
In Italia però la cultura prevalente da più di
cinquant'anni è contro di noi, falsifica la nostra Storia o la
sottace.
Nel 1947, alla Conferenza di Pace, il Capo del
Governo Italiano, Alcide De Gasperi, non difese minimamente i
confini orientali d'Italia, rimettendosi "alla comprensione dei
vincitori", i quali, non volendo consultare le popolazioni
interessate, dimenticando di informarsi sulle loro storia e cultura,
strapparono all'Italia, dandole alla Iugoslavia, Zara e tutta la
Venezia Giulia tranne Trieste, Gorizia e una piccola parte delle
loro province.
In 350.000, su 400.000, esodammo per denunciare
questa enorme ingiustizia, per proclamare la cultura nostra e dei
nostri Avi da sempre latino - veneto - italiana e perchè era
impossibile convivere pacificamente con i nuovi venuti.
In Italia fummo accolti male salvo alcune
importanti eccezioni, che però, sono state definite "di
destra" e, "quindi", non hanno per nulla scalfito la
cultura dominante.
Ai lussignani Don Dario Chalvien e prof. Maria
Rade, che gli hanno reso visita aRoma, De Gasoeri ha personalmente
raccomandato di non esodare per non ridurre i rimasti a piccola
minoranza.
Dopo più di cinquant'anni, nei quali di noi si
è per lo più taciuto, la posizione della cultura
"dominante" non sembra migliorata. Si attinge solo o quasi
alle posizioni slave.
La commissione per il bilinguismo nel
Friuli-Venezia Giulia, pochi giorni fa, ha deciso di includere
Trieste fra le località bilingui, dimenticando che gli sloveni
rappresentano solo il 5% della popolazione triestina e che questa è
formata per due terzi da istriani che hanno tutto lasciato pur di
restare italiani e di vivere ove si parla la lingua loro e dei loro
Avi.
La cultura "corretta" sembra
influenzare anche istituzioni antiche e benemerite quali la Scuola
Dalmata di Venezia che nella sua pubblicazione "Famiglie
Dalmate" del giugno 2003 ospita un scritto ove, sia pure
marginalmente, si afferma che la storia veneta della Dalmazia inizia
appena dal 1420 (pag.9), perchè nei quattro secoli precedenti
Venezia non esercitò la sua sovranità "totalmente e
saldamente". Non si dice che le interruzioni di quella
sovranità sono durate poco più di mezzo secolo su più di quattro,
non si dice che vi era esclusa solo una piccola parte della
Dalmazia.
La cultura prevalente si può dire vicina a
quella dell'estrema sinistra.
"Gerarchi,
briganti neri, frofittatori, forniscono reclute alla delinquenza
comune, relitti repubblichini, indesiderabili che fuggono al giusto
castigo della giustizia popolare iugoslava, impauriti dall'aria di
libertà che precedeva o coincideva con l'avanzata degli eserciti
liberatori".
Così ci descriveva "L'Unità" del 30 novembre 1946,
concedendo tuttavia che fra di noi c'erano anche "italiani
onesti, vittime dell'infame politica fascista, indotti a fuggire dal
fantasma di un terrorismo che non esiste e che viene agitato per
speculazione di parte".
Un articolo pubblicato su "Il
Manifesto" del 6 ottobre 2002, salvo un modesto "più
numeroso", parifica in pratica il nostro esodo al controesodo
comunista cioè ai comunisti italiani che, invitati dal loro partito
e dai "Titini", si trasferirono in Iugoslavia per
"costruirvi il socialismo". L'articolista dice che di noi
"molto si è parlato per cinquant'anni, anche se quasi sempre
per rivendicare le terre e le case abbandonate e,
propagandisticamente, in chiave anticomunista e razzista. Del
controesodo invece quasi nessuno ha parlato".
Riassumendo siamo stati considerati dei quasi
delinquenti o, nella migliore delle ipotesi, degli sciocchi
creduloni e oggi ancora dei razzisti.
In realtà, come già detto, di noi quasi nulla
si è parlato ed è un falso definire soltanto "più
numerosi" il nostro esodo rispetto al controesodo: i 2000 di
quest'ultimo rispetto ai nostri 350.000 rappresentano lo 0,57%.
Sono, è vero, opinioni di estrema sinistra. Ma
è altresì vero che tali opinioni hanno influenzato in misura
determinante la posizione di Degasperi nel 1947. Il citato articolo
de "L'Unità" dà, più avanti, suggerimenti simili a
quelli dati da De Gasperi ai nostri due Lussignani: non esodare per
non ridurre i rimasti in insignificante minoranza, trattare con gli
slavi per ottenere vaste autonomie linguistiche, culturali e
amministrative come auspicato da Tito e da Togliatti nel loro
incontro di quei mesi a Belgrado.
Ancora oggi queste opinioni influenzano anche
l'opinione di chi di sinistra non è.
Anche le posizioni di alcuni rimasti a Lussino
sembrano contare più delle nostre su alcuni fatti locali.
Vengono definiti "disertori" e non eroi
i due marinai che nel giugno del '18, improvvisati aviatori, hanno
trafugato a Lussinpiccolo un idrovolante austriaco per portarlo in
Italia (La "Voce del Popolo" di Fiume del 21 luglio 2003)
Secondo un articolo pubblicato dallo stesso
giornale il 29 agosto 2003 noi lussignani esuli saremmo seminatori
di astio, vorremmo approfondire il solco fra esuli e rimasti solo
perchè gradiremmo rimanesse segno del nostro importante contributo
al restauro 2003 della Chiesetta di San Giuseppe a Lussinpiccolo,
Chiesetta oggi frequentata solo dai rimasti.
Chiudiamo queste note ribadendo che non ci
spaventa affatto l'enorme forza della cultura "corretta"
che domina in Italia. Riteniamo sia nostro dovere combatterla là
dove va combattuta anche se si tratta di una battaglia impari.
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